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5.12.2017

Stasera porterò la moto dal meccanico per l’ultimo tagliando.
Già, l’ultimo tagliando. Mi sembra strano anche solo pronunciare queste parole, dopo quasi vent’anni e un milione di km.
Non so quando avrò la nuova moto; non l’ho ancora, tecnicamente, nemmeno ordinata (ma solo perché ancora non c’è ufficialmente un prezzo), anche se ho già deciso di prenderla e mi sto adoperando per averla il più presto possibile. Ma ormai ho già deciso. La data dell’arrivo della nuova moto non dipende da me e quindi questa, ormai, per me è già “vecchia”, da sostituire, da portare al termine della sua onorata carriera.
La nuova arriverà forse in tempo proprio per il ventennale della vecchia (13.2.2018), al massimo a marzo. In ogni caso, anche se alla vecchia dedicherò ancora un cambio gomme o poco più, sarà solo per poi lasciarla tranquilla, nella sua pensione.
Questa è l’ultima volta in cui la lascio dal meccanico, pensando a quando poi riprenderla, alla strada che devo ancora fare con lei, al prossimo (ultimo) giro insieme, con le solite raccomandazioni da fare al mio meccanico perché me la restituisca in tempo.
E’ l’ultima volta; sono gli ultimi km, gli ultimi viaggi, le ultime cure.
Non voglio, però, lasciarla trascurata; nei limiti del possibile, la sto rimettendo a posto, sia come meccanica che come estetica. Glielo devo: per gratitudine, per rispetto.
Gratitudine e rispetto; strane parole per un oggetto. Ma è quello che provo ora per lei.
Gratitudine e rispetto.
Gratitudine perché senza di lei non sarei riuscito a fare quello che ho fatto; non avrei viaggiato tanto, così lontano e in questo modo.
Rispetto perché, se i miei viaggi sono stati duri, faticosi, a volte pericolosi per me, lo sono stati anche per lei. E perché, se io ho superato i molteplici imprevisti e difficoltà, grazie a una certa determinazione (e cocciutaggine), anche lei lo ha fatto, grazie a una robustezza, affidabilità e capacità di incassare i colpi che le hanno permesso di viaggiare in condizioni estreme per questo tipo di moto e di adattarsi a continuare a viaggiare anche con riparazioni di fortuna e in condizioni precarie.
Giunge quindi alla fine questo binomio quasi perfetto tra uomo e macchina, in attesa che si riformi con una nuova moto (ne sono convinto).
Ciao compagna fedele, amica sempre al mio fianco. Vent’anni sono un pezzo della mia vita, quasi la lunghezza del mio matrimonio, più dell’età di mia figlia; e, in effetti, tolte ovviamente le persone, tra le cose (perché, nonostante tutto, la mia moto è una cosa, sia pure delle più nobili), nulla nella mia vita è più importante della mia moto.
Porterò al mio meccanico la solita chilometrica lista delle cose da fare (stavolta molto lunga) e controllerò che tutto sia a posto, ma stavolta sarà diverso. Sarà l’estrema cura che io le rivolgo, l’ultima attenzione, il definitivo controllo.
In queste ore, si affollano nella mia mente i ricordi di tanti viaggi; migliaia di immagini e, in quasi tutte, c’è lei. Sì perché, quando arrivavo in un posto, i miei occhi erano, subito dopo che per il luogo raggiunto, per chi in quel luogo mi aveva portato e doveva, ben presto, da quel luogo riportarmi a casa.
Penso alle tante cose belle; alle infinite distese di asfalto, migliaia e migliaia di km, anche rettilinei, ma che lei ha reso piacevoli, una parte bella del viaggio, non un monotono trasferimento.
Penso alle tante curve, quando quasi mezza tonnellata di moto si ostinava a piegare… fino a quando (poco) poteva fisicamente piegare. Ma lei non si arrendeva e, comunque, danzava; leggiadra come una libellula: destra, sinistra, destra, sinistra… Rabbiosa a volte, ma sempre elegante, maestosa, inconfondibile. E io danzavo con lei.
Penso ai deserti, immensi, caldi, ventosi, infuocati o anche freddi mentre il buio incombeva e magari io ero bloccato per uno dei pochi casi in cui la moto non poteva fisicamente proseguire.
Penso alle montagne: alte, maestose anche più di lei; inospitali, ma spesso abitate fin nelle valli più nascoste. Alle vette scintillanti di nevi e ghiacciai, alle valli profonde, alle strade che si inerpicano sempre più su o sempre più in fondo nelle gole.
Penso alle città, alle moltitudini di gente incontrate, alle folle che ne riempiono le piazze e le strade, alla ressa e al traffico caotico delle metropoli dell’Asia o dell’America,  a lei che, gioendo al minimo o soffrendo per il surriscaldamento per una ventola difettosa, quelle folle fendeva tranquilla e da quella ressa mi traeva sempre d’impaccio, con calma, con la consapevolezza della propria forza.
Penso ai monumenti della natura e quelli dell’uomo, a quel consueto, testardo, forse un po’ infantile, ma giocoso e naturale, voler arrivare finché possibile fino in fondo con lei, la mia moto, perché anche lei potesse “vedere” quello che vedevo io, anche lei potesse avere un posto nella foto ricordo, celebrazione finale di un viaggio o di una parte di esso. E lei, paziente, superava quasi ogni ostacolo per accontentarmi e, a volte, nella foto, da comprimaria diventava protagonista.
Penso alla pioggia e al vento che spesso ci sferzavano, e a lei che mi proteggeva così bene, mi accoglieva dietro al suo possente scudo, che fendeva l’aria e la pioggia lasciando che solo qualche refolo e un po’ d’acqua mi raggiungesse.
Penso al freddo e al caldo e, anche qui, alla protezione che mi dava; a quel microclima che riusciva a garantirmi, a quella bolla d’aria quasi calma e un po’ più mite di “fuori”, di quello che c’era pochi cm oltre la sua protezione.
Penso alle cure che le ho prestato; alle manutenzioni, sempre più lunghe e frequenti, di questi vent’anni. Alle ore di pulizia… invece sempre meno frequenti.
Penso a quanta benzina e olio hanno alimentato questa macchina superba, bellissima, quasi inarrestabile.
A tutto questo penso mentre giro la chiave, ancora una volta, come migliaia di altre volte; ancora una volta, ma una delle ultime volte.
Grazie Gold Wing.

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