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Sei in: MOTO - TRANSASIA: VIA DELLA SETA, MONGOLIA, SIBERIA - DIARIO DI VIAGGIO - GIORNO 10
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TRANSASIA
Via della Seta - Mongolia - Siberia

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19.6.2009 - venerdì - giorno 10
Saraks (IR) (8.56) [+1.30] -
Mary (TM) (18.00) [+3]
km 240
viaggio h 7.34, guida h 4.02

3.5 TURKMENISTAN

In Turkmenistan, superato il confine, sembra proprio di entrare in un altro mondo, nonostante la comune fede mussulmana. Tanto per cominciare, finalmente vedo delle donne (militari della dogana) vestite in modo normale (non più coperte da capo a piedi). Anche qui c’è una certa sorpresa nel trovarsi di fronte a una moto; devo far passare i bagagli da un metal detector, il che comporta la fastidiosa rimozione degli stessi dalla sella e successiva nuova legatura; nessuna perquisizione manuale dei bagagli.

A sorpresa, mi chiedono anche qui il Carnet di Passaggio in Dogana, nonostante il sito dell’ACI lo preveda solo per l’Iran (tra gli Stati che attraverso nel mio viaggio). L’addetto mi conferma che è necessario: bene, vuol dire che i soldi e il tempo spesi in Italia non sono stati sprecati.

Procedo da un ufficio all’altro; in una stanza noto 3 persone che sonnecchiano. Non capisco se sono impiegati o persone in attesa come me; un paio ha un tipico copricapo turkmeno, quindi presumo siano del paese.

Finalmente sembra che tutto sia a posto, anzi no, mancano ancora 3 timbri. Qui la scena diventa surreale; l’addetto 1 compila il documento e lo passa all’addetto 2 (scrivania accanto, uno di quelli che prima avevo notato che sonnecchiavano); questo (svegliatosi) mette il suo timbro e lo passa all’addetto 3 (scrivania successiva, anche lui destatosi dal riposino); il n. 3 mette il suo timbro e lo passa al n. 4 (come sopra) che (indovinate?) mette finalmente l’ultimo timbro necessario e mi consegna il documento. Devo trattenermi dal ridere: ho appena contribuito ad innalzare il prodotto interno lordo del Turkmenistan, dando lavoro a 3 persone, lavoro che, ovviamente, poteva tranquillamente svolgere l’addetto n. 1, se solo avesse avuto i 3 timbri sul suo tavolo (e l’ordine di usarli).

Ma questi posti sono così: è inutile prendersela. Noto queste cose, le critico, ma non me la prendo più di tanto; anche questo fa parte del “folklore” locale e queste farraginosità resistono (per ora) alla modernizzazione e all’avanzata della tecnologia, presente comunque pure qui: anche in questo sperduto posto di confine (che non è certo uno dei principali del già isolato Turkmenistan), infatti sono presenti (e funzionanti) i computer, che paiono anche collegati in rete. Ma per cambiare le persone ci vuole tempo.
La strada, appena entrato in Turkmenistan, peggiora subito; mi rendo conto che ora comincia la parte difficile del viaggio. Asfalto pessimo; la superficie sembra come scarnificata, lasciando quasi solo lo strato sottostante di pietrisco e un po’ di bitume; buche ovunque, talmente estese e numerose che a volte è difficile, anche andando piano, trovare un varco “pulito” lungo la carreggiata. Rallento e procedo con prudenza.

L’ambiente è ancora desertico, quasi disabitato.

La temperatura aumenta (ormai siamo a 40°) e il deserto offre ben poca ombra dove ripararsi dal sole.

Anche qui ad ogni sosta sono accolto da curiosi e bambini festanti. Il turkmeno è una lingua simile al turco, ma scritta in caratteri cirillici (retaggio del tempo sovietico); quindi per me completamente incomprensibile. Solo a volte i cartelli stradali sono ripetuti in caratteri latini. Molto diffuso il russo, ma la cosa mi aiuta poco.

Ad una stazione di servizio lungo la via principale il contrasto raggiunge punte paradossali; monumentale, marmi a profusione, archi scenografici, colonne. Ma entro per chiedere qualcosa di fresco da bere e non trovo quasi nulla; vado nei bagni e mi manca l’aria per la puzza terribile. Questo dei bagni è un capitolo penoso per gran parte del viaggio, ma qui in Turkmenistan credo di avere trovato i bagni peggiori per livello di igiene; sono i classici bagni alla turca e fin qui poco male (come concetto sono più igienici dei nostri). Il problema è che non c’è acqua corrente, spesso non c’è proprio acqua; il tutto si riduce ad un buco per terra, sotto il quale c’è un buco più grande, mai svuotato credo. Meglio usufruire della vasta e deserta campagna.

In compenso la benzina costa poco: 30 centesimi al litro (come in Iran).

Mary non offre molto, chiedo qualche indicazione per integrare quelle non aggiornate della mia guida e mi ritrovo di fronte ad un grande albergo stile sovietico, che non ha alcun garage o parcheggio custodito; non mi va di lasciare la moto tutta la notte per strada e, d’altra parte, in questo tipo di albergo anche il personale sembra ex-sovietico, con un grado di collaborazione prossimo allo zero e quindi non c’è la possibilità di risolvere “alla buona” come in Turchia e in Iran, infilando la moto nell’ingresso.

Mentre questi pensieri mi lasciano esitante davanti all’hotel, si avvicina un ragazzo che si offre di aiutarmi; Azat (è il suo nome) mi sconsiglia decisamente di lasciare la moto in strada (parla un inglese sufficientemente comprensibile, cosa rara per questi posti), mi dice chiaramente: “questa è la mia città, la conosco, meglio non lasciare la tua moto per strada la notte”. E’ un meccanico e guida  una vecchia Lada tenuta perfettamente, lucida come forse la mia moto lo è stata solo quando l’ho acquistata. Si offre di custodire la moto per la notte in un suo garage; vorrebbe anche ospitarmi, ma in casa ha 4 donne (madre, moglie, figlia e sorella) e quindi non è possibile.

Ma la gentilezza di Azat non si ferma qui; si vede che ha voglia di conversare, di sentirmi parlare delle mie esperienze di viaggio (non credo che siano molti i turisti che passano da qui); mi invita a cena a casa sua.

La famiglia di Azat è un esempio del miscuglio di popoli delle repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale: Azat è russo (o almeno si considera tale), ma è mussulmano, e parla sia russo che turkmeno. La moglie è di origine russa, la madre (vedova) turkmena, la figlia parla russo.

Finita la cena, Azat mi accompagna all’albergo (quello ex-sovietico) e si assicura che sia tutto a posto parlando alla reception. Mi dà appuntamento a domattina, per riprendermi dall’albergo e riportarmi al suo garage, dov’è la mia moto.

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