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Sei in: MOTO - TRANSASIA: VIA DELLA SETA, MONGOLIA, SIBERIA - DIARIO DI VIAGGIO - GIORNO 27
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TRANSASIA
Via della Seta - Mongolia - Siberia

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6.7.2009 - lunedì - giorno 27
Mongol Els (MGL) -
Ulan Bator (MGL)
km 300 circa,
in furgone, con la moto legata sopra

Devo raggiungere il vicino campeggio (Mongol Altai Camp) per chiedere aiuto; il proprietario, ieri sera, mi è sembrato una persona in gamba; credo che abbia compreso la situazione e potrà trovarmi un veicolo adeguato per portare la moto a Ulan Bator. Il tempo di scattare qualche altra foto, richiamo discretamente l’attenzione dei miei vicini di gher e finalmente il mongolo esce dalla tenda; gli spiego cosa intendo fare (gliel’ho già accennato ieri sera) e andiamo al campeggio vicino (lui a cavallo, io a piedi, ma la velocità è quasi la stessa).

Arrivato al campeggio (molto ben organizzato, con bar, ristorante, bagni, numerose gher per gli ospiti), mi accoglie la moglie del titolare (che è fuori); le spiego la situazione, insistendo molto sul fatto che mi serve un modo sicuro per salire la moto sul furgone, quindi un’asse robusta, di ferro o legno di resistenza adeguata. Mi chiede $ 300; il prezzo è aumentato, ma capisco, “qualcosa” deve guadagnare anche lei; non ci sono margini di trattativa e, comunque, non sono nelle condizioni di trattare. Le faccio vedere i dollari (li avrà in mano quando vedrò la mia moto sul furgone) e lei telefona. Dopo alcune telefonate, mi assicura che ha trovato un furgone, che tra un po’ arriverà.

Dopo le 10, arriva un furgone: parcheggia davanti a me e tira fuori... una fragile asse di legno! Non ne posso più! Mi viene da prenderli a testate tutti, uno per uno! Ma, visto quanto hanno dimostrato di avere la testa “dura”, forse non mi conviene. Vado davanti alla signora, tiro fuori una banconota da 100 $ dalla mia tasca e la butto platealmente per terra: “se vuoi i miei soldi vedi di darti una mossa e trovami un’asse adeguata!” Parlano tra loro, la signora dà disposizioni e dopo un po’ due uomini arrivano con un’altra asse, anche questa di legno, ma ben più robusta. La guardo con attenzione, ci salgo sopra, cerco di valutarne la resistenza; il mongolo che lo ha portato mi assicura che è robusta; guardo lui, guardo la moto; lui sarà circa 90 kg. Lo fisso e gli faccio cenno che la moto pesa quanto 6 come lui; sorride, non so se ha capito. Adesso basta, chiudiamola qui o non ne usciamo più: lo prendo per una mano e lo porto sull’asse (intanto poggiata su un’estremità sul furgone); faccio cenno agli altri mongoli di avvicinarsi. Scelgo i più robusti e ne faccio salire altri 5 sull’asse di legno. I mongoli sono un po’ esitanti; sventolo di nuovo la banconota davanti alla signora che improvvisamente “capisce” e ordina ai mongoli di salire sull’asse; il legno si piega sotto il peso di 6 mongoli che mi guardano, un po’ preoccupati: “adesso avete capito come ci si sente a salire su un’asse di legno senza sapere se reggerà?!”

Sono quasi soddisfatto, ma manca ancora una cosa: faccio cenno loro di saltare. Sì, saltate, saltate su quella benedetta asse! I mongoli saltano, l’asse si piega ma non si spezza. Va bene così, potete scendere, ora tocca a me!

Avvio la moto e la riporto sulla strada; per limitare il dislivello, sistemiamo il furgone sotto la scarpata, in modo che l’asse sia poco inclinata. Mi metto con la moto all’inizio della tavola, scendo e controllo la situazione; l’asse è poggiato abbastanza stabilmente. Posiziono 3 mongoli a destra e 3 a sinistra; un altro è sul furgone, pronto ad accogliermi. Dico loro di non toccare la moto, salvo in caso di emergenza, ed eventualmente solo dalle apposite maniglie; salirò sul furgone da solo.

Prima, gas e via! La moto sale, decisa (nonostante la ruota sgonfia) sull’asse, che si piega, ma non si spezza. Il mongolo sul furgone è sorpreso dalla rapidità dell’azione e quasi lo investo: la ruota anteriore si ferma a pochi centimetri dalla sua … pancia.
Bene, è fatta. Pago la signora e ringrazio. La moto occupa quasi tutto il pianale di carico del furgone; la ruota posteriore è a pochi centimetri dalla ribalta; l’anteriore la blocco con un sacco pieno di una carcassa di agnello. Comincio a legare la moto, operazione che eseguo personalmente, indicando ai mongoli che userò le mie due cinghie con tensionatore; loro mi preparino altre corde, robuste. Devo legare la moto molto stabilmente, perché da qui a Ulan Bator non ci sono solo 250 km di strada a volte malridotta, ma anche 50 km di pista, piena di buche e avvallamenti e quindi la moto subirà molti scossoni, amplificati dalle pessime condizioni meccaniche del furgone: un veicolo che in Italia probabilmente sarebbe stato già demolito, dalle sospensioni ridotte forse peggio delle mie forcelle, a parte altri particolari “estetici” (vetri che non si abbassano, parabrezza bucato e incrinato, strumenti non funzionanti). Posiziono la moto sul cavalletto laterale e la lego: davanti, dietro, di lato, di sopra, di sotto; mai in vita sua la mia moto è stata tanto imbrigliata. Finita la legatura, do il via libera.

E’ quasi mezzogiorno. Il pilota è il mongolo di 90 kg di prima; si chiama Tumur. Salgo nella cabina di guida e ci avviamo.

Percorriamo i 49 km sterrati in quasi 4 ore; quanto ne impieghiamo per i restanti 250 asfaltati. Dopo 7h 30’ e 300 km arriviamo a Ulan Bator. Faccio fermare il furgone vicino all’albergo dove ho dormito tre giorni fa.

Il proprietario dell’albergo mi ha riconosciuto subito e mi saluta; gli chiedo di poter parcheggiare la moto come l’altra volta, dal gommista di fronte. Già, un gommista: quasi, quasi …

Finalmente rilassato (la moto è al sicuro, sono a Ulan Bator), comincio a pensare. E’ passato, almeno in parte, lo scoramento iniziale e vedo le cose in modo diverso. Ma perché tornare in aereo? Perché mollare? Non l’ho mai fatto nei miei viaggi e non ho per niente voglia di farlo adesso.

Le forcelle non sono riparabili e nemmeno il cerchio (non alle mie condizioni), ma la gomma? In fondo ho portato una camera d’aria (per ogni pneumatico) della misura giusta, proprio per questa eventualità. Certo, la gomma è usurata, rovinata dall’aver camminato diversi chilometri a bassa pressione (e alcuni a 0), ma perché non provare? Magari non arrivo in Italia, ma mi potrei avvicinare. Giunto all’albergo, non entro, ma attraverso la strada e vado dal gommista dove ho parcheggiato la moto. Tiro fuori della moto la camera d’aria e gliela mostro (sono due ragazzi, che lavorano con attrezzi rudimentali). Non conosce l’inglese, ovviamente, ma i gesti che gli rivolgo sono chiari. Gli mostro il cerchio ammaccato e la camera d’aria; gli dico di inserire la camera d’aria dentro alla gomma tubeless, in modo da poterla gonfiare. Indicando la botta al cerchio, mi chiede se voglio che lo ripari, mimando un martello. No, non toccare il cerchio! Ho paura che, cercando di ripararlo (è in lega), possa provocare una crepa, e allora sarebbe proprio da buttare (lo so che, scaldandoli e trattandoli per bene, si possono riparare, ma non mi fido di farlo fare qui). Sono le 20, sta per chiudere; gli do appuntamento a domattina, quando tornerò per seguire l’operazione.

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