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Sei in: MOTO - ITALIA GIAPPONE E RITORNO - DIARIO DI VIAGGIO - GIORNO 23

ITALIA - GIAPPONE E RITORNO
3.6/31.7.2011 - km 33.876

Andata
10 11 12 13 14 15 16 17 18  
Corea
19 21 22 23 24 25 26 27 28  
Giappone
29 30 31 32 33 34 35 36 37 38

(Altaj: 49/51)

 
Ritorno
39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59
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Motoguida

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25.6.2011 - sabato - giorno 23
Korea Folk Village (9.14) [+7]
Songnisan (18.46) [+7]
km 193
viaggio h 9.32, guida h 3.57

Gps Garmin
GPX
Google Earth

Fotoalbum del giorno

Oggi è il terzo giorno in Corea e comincia allo stesso modo degli altri due; infatti guardo dalla finestra e…. piove! In 3 giorni non ho ancora visto il sole in Corea.
Scendo nel cortile, carico la moto (fortunatamente al coperto) e, anche se mi scoccia un po’ farlo per un tratto così breve, mi copro completamente con l’antipioggia (la solita giacca e pantaloni in goretex), prima di avviarmi verso l’ingresso del Korea Folk Village.
Non ridete se vi dico che il parcheggio del K.F.V. dista appena 100 metri! Anzi, ridete pure: l’ho fatto anch’io. Ma io sono fatto così: dovunque sia possibile, voglio arrivarci in moto; anzi, a volte anche dove non sarebbe possibile.
E comunque, il parcheggio, anche se inizia a 100 metri dal mio albergo, è molto grande e finisce dopo altri 500 metri, dove è l’ingresso del Korea Folk Village. E 600 metri a piedi, sotto la pioggia, non voglio farmeli; per di più in questo modo ho tutto quello che mi serve a portato di mano, nella mia moto.
Quindi parto dall’albergo, arrivo al parcheggio… dopo pochi secondi, lo attraverso per tutta la sua lunghezza e arrivo davanti all’ingresso del villaggio. Il parcheggio è quasi vuoto, immagino poiché piove e sono ancora le 9.22 (apriranno alle 9.30).
Non vedo le strisce di parcheggio dove sto lasciando la moto, cioè proprio di fronte alla recinzione, ma lì vicino c’è un'altra moto (o meglio, un motorino, probabilmente di qualcuno che lavora all’ingresso); stimo che questo sia il posto più sicuro, quasi sotto gli occhi del personale della biglietteria e chiedo loro se posso lasciare la moto lì. Gentilissimi acconsentono; ne “approfitto” per consegnare loro il casco, che non entra nella moto e che non mi va di lasciare all’aperto, sotto la pioggia.


Lascio l’antipioggia in moto, prendo l’ombrello e comincio la visita.
Il Korea Folk Village offre molti esempi di vita tradizionale contadina, con persone provenienti dalle varie regioni del paese; sono presenti anche una fabbrica di birra, laboratori artigiani, un tempio buddista, una scuola confuciana e un mercato. Il primo impatto è di una struttura “per turisti” e probabilmente in parte lo è, ma è comunque apprezzabile perché permette di vedere comodamente e rapidamente tanti esempi di vita coreana; da tenere presente anche che le persone che ci lavorano non sono semplici “attori”, ma ci vivono davvero. Ogni giorno inoltre si tengono spettacoli di danza e parate.
E poi il tempo è quello che è (piove, come al solito), quindi, piuttosto che annaspare sotto l’acqua in moto su è giù per le montagne, meglio girare un po’ “da turista”, con un ombrello, per le stradine di questo villaggio.
Ogni ricostruzione è ben segnalata con cartelli esplicativi, anche se in qualche caso di difficile comprensione:
    

Ponte su uno dei canali interni:


Abitazioni rurali di varie regioni della Corea (il fotoalbum completo è nel link indicato a inizio pagina):
                             

Come erano trattati i criminali:


Ne approfitto per pranzare, ottenendo in questo modo l’esperienza più sgradevole della mia permanenza in Corea. Un piatto di (boh?) dal sapore pessimo, per di più presentato in una brodaglia gelata, in cui addirittura galleggiano pezzi di ghiaccio (e pure caro):


Il luogo è comunque piacevole, ben curato, ordinato e pieno di verde, e ogni tanto perfino… smette di piovere:


La visita dura 2 ore e mezzo, ma, se vi va, ci si può passare anche un’intera giornata, magari evitando certi cibi (ci sono comunque alternative).
A mezzogiorno riprendo la moto (dopo aver ritirato il casco dai gentili bigliettai) e dirigo a sud-est, per attraversare l’interno della Corea.
Attraversando alcun aree urbane (la densità abitativa in Corea è molto alta, quindi è difficile percorrere lunghe distanze senza attraversare città, soprattutto quando, come accade alle moto, non si possono prendere le autostrade), noto un sistema molto pratico per individuare gli edifici: un grande numero disegnato sulle pareti, senza impazzire con piccoli numeri civici.
Le indicazioni stradali a volte sono anche in inglese, ma quando sono solo in coreano diventano per me praticamente inutili.
Con qualche giro vizioso, a causa del divieto di percorrere le autostrade, riesco a raggiungere la zona del parco nazionale Songnisan, il cui nome significa “lontano dalle banali montagne”. Purtroppo la pioggia incessante non mi permette di apprezzarle al meglio:
                                                                                      

L’attrattiva maggiore di questo parco nazionale non è però naturale, ma opera dell’uomo: Popchusa.
Arrivo a Popchusa e parcheggio la moto (la visita al sito infatti si può fare solo a piedi).
Piove, ma ormai ci sono abituato. Parcheggio la moto davanti alla sbarra che impedisce ai mezzi motorizzati di procedere oltre e mi pongo il problema di cosa fare del casco: se lo aggancio dietro (come faccio normalmente), resta capovolto e parzialmente esposto alla pioggia che cade incessante, quindi ritroverei l’imbottitura bagnata; portarmelo dietro no, troppo scomodo; non vedo nessuno in giro cui affidarlo (l’ingresso vero e proprio a Popchusa è molto più avanti); decido quindi, piuttosto imprudentemente, di lasciarlo semplicemente poggiato sulla sella, in modo che non si bagni l’interno.
Proseguo a piedi col mio fido ombrello (mai tanto usato durante un mio viaggio in moto).
Un piccolo ponte scavalca uno dei tanti ruscelli della zona, ricordandomi che il simbolo che nel mondo occidentale identifica la più grande infamia della storia umana è anche un antico simbolo religioso orientale, in questo caso buddista (notare la ringhiera):


Un grande cartello sul viale d’accesso raffigura l’incantevole scenario naturale in cui è inserito questo complesso di templi:


Ogni tanto incontro qualche gruppo di turisti (mi sembrano tutti coreani), ma il luogo non è certo affollato:


Superato il cancello di ingresso al recinto, mi appare, in tutta la sua imponenza:
                                                                                      

Popchusa è un tempio buddista costruito nel 553 d.C., bruciato dai giapponesi nel 1592, ricostruito nel 1624. Ma ancora più imponente della pagoda di cinque piani è il Budda di bronzo, alto 33 m (la più grande figura in piedi dell’oriente).
Il Budda…


e il tempio a 5 piani:


Vista dalla base del Budda, verso il tempio a 5 piani e altre costruzioni del grande piazzale:


Torno alla moto, leggermente in apprensione perché avevo lasciato il casco poggiato sulla moto. Ma lo ritrovo; nessuno ha toccato nulla:


Trovo un albergo nel paese qui accanto e anche il parcheggio più sicuro del mio viaggio: in una stazione di polizia (la moto è a sinistra, coperta dal telo).


In albergo trovo una costante della Corea: la tazza-bidet: non ridete. Noi italiani ci vantiamo di aver inventato il bidet e di essere uno dei pochi popoli della Terra ad usarlo, ma devo ammettere che la tazza-bidet è eccezionale: pratica ed efficace. Qui è fotografata una delle versioni più complete, quella elettronica. I tasti, nonostante le istruzioni solo in coreano, sono di uso intuitivo (guardare i disegni):


Ottima cena in un ristorante vicino (mi accompagna l’albergatore). Anche qui il solito, ottimo e divertente fornello integrato nel tavolo da pranzo, con cappa personale sovrastante:
    

La cena è servita…


… e consumata: non sono riuscito a mangiare tutto, perché alcune cose erano proprio “strane”, ma della carne arrostita non ne è rimasta una briciola.


Anche oggi ha piovuto e per quasi tutto il giorno; riuscirò a vedere il sole domani?

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