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Sei in: MOTO - ITALIA GIAPPONE E RITORNO - DIARIO DI VIAGGIO - GIORNO 43

ITALIA - GIAPPONE E RITORNO
3.6/31.7.2011 - km 33.876

Andata
10 11 12 13 14 15 16 17 18  
Corea
19 21 22 23 24 25 26 27 28  
Giappone
29 30 31 32 33 34 35 36 37 38

(Altaj: 49/51)

 
Ritorno
39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59
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15.7.2011 - venerdì - giorno 43
Kiroskiy (7.08) [+9]
Birobidzan (18.37) [+9]
km 735
viaggio h 11.29, guida h 9.35

Gps Garmin
GPX
Google Earth

Fotoalbum del giorno

Bene, oggi posso partire presto. Riprendo col solito ritmo, dopo la tappa anomala di ieri, in cui sono potuto partire solo nel pomeriggio, per i problemi doganali.
E’ bello svegliarsi la mattina presto con la consapevolezza di avere davanti un paese sterminato da attraversare, con la certezza che il tramonto arriverà comunque prima che sia terminata la strada, e così per un paio di settimane. Sempre a ovest, così come all’andata dirigevo verso est. Inoltre, quasi ogni giorno guadagno un’ora, perché cambio fuso orario; all’andata invece il cambio dell’ora era a mio danno, essendo diretto verso est. Questo mi farà guadagnare 9 ore, così come all’andata me ne aveva fatte perdere altrettante: quasi mezza giornata.
E’ una delle conseguenze di attraversare un continente, in particolare l’Asia (il più grande), e per longitudine (da ovest a est). Cose che, per giri anche lunghi in Europa, non avvengono.
Per di più nei prossimi giorni non devo preoccuparmi di frontiere: ho l’immensa Russia davanti, un unico paese, burocratico sì, ma la sua burocrazia l’ho superata per entrarci via mare (a Vladivostok) e so già che non mi creerà problemi per uscirne (verso Bielorussia e Polonia, tra un paio di settimane).
Alle 7 riprendo la moto, parcheggiata di fronte all’ingresso dell’albergo,


e mi dirigo a nord. Supero il fiume Ussuri,


e poi lo seguo lungo il suo corso di km 400, fino alla confluenza nell’Amur, ad Habarovsk.


In effetti il fiume lo vedo solo ora, mentre lo attraverso su di un ponte. Dopo, il fiume, che segna il confine con la Cina, è inavvicinabile; la strada infatti ne resta sempre abbastanza distante, tant’è che non vedo mai il fiume: tutte le strade che si dirigono verso ovest (cioè verso il fiume e la Cina) sono chiuse, o subito o dopo pochi chilometri, con sbarramenti fissi o posti di blocco.
Non è un confine “normale” questo, tra due giganti dell’Asia, uno sterminato, grande potenza militare, ma relativamente poco popolato, l’altro grande e super popolato e potenza economica (la seconda ormai) emergente, oltre che anch’esso militarmente potente. Ricordo di aver letto di sanguinosi scontri militari avvenuti proprio su questo fiume, nel 1969.
Ad un certo punto, vedo il cartello “Cina km 23”; lo supero ma subito dopo ci ripenso e torno indietro: voglio provarci. Lo so che quasi sicuramente non potrò nemmeno arrivare al confine (superarlo è impensabile senza i permessi), ma ci voglio provare, voglio vedere fino a dove posso arrivare.


La strada è deserta. Attraversa una zona boscosa e disabitata, leggermente collinare. Ho percorso km 15 dalla strada principale (stimo quindi di essere a km 8 dal confine, 4 in linea d'aria), credo pertanto che il posto di blocco non tarderà. Infatti, dopo una curva, affrontata istintivamente a bassa velocità perché già mi prefiguro uno stop obbligato, ecco un’alta cancellata che sbarra la strada, con alcuni mezzi militari accanto. Mi fermo, a debita distanza e, senza nemmeno che qualcuno me lo chieda, comincio la manovra di inversione di marcia, con calma ma non troppo (in queste circostanze non si deve essere troppo lenti, ma nemmeno bruschi e precipitosi. Sono a metà della manovra, quando due militari fanno capolino da dietro la cancellata (si vede che non c’è molto movimento qui), con sguardo non proprio “amichevole”, dicono qualche parola (per me incomprensibile) cui rispondo con un sorriso il più spontaneo possibile viste le circostanze. Allargo le braccia, come a dire “lo so che non posso passare, ma volevo arrivare fino a qui”, saluto e torno indietro.
Ci ho provato. Comunque un’esperienza interessante.
Ovviamente non ho foto dell’incontro: non ci ho provato nemmeno a fotografarli.
Tornato sulla via principale, continuo verso nord.
La strada è come me la ricordavo all’andata; una sequela di tratti nuovi e in buone condizioni (pochi), vecchi e pieni di buche o mal rattoppati (la maggior parte), lavori in corso (molti). Questi ultimi sono particolarmente fastidiosi perché, come solito in Russia, interessano l’intera carreggiata, che si ritrova quindi ridotta ad una pista di terra (nell’ipotesi migliore), sassosa (non infrequente) o fangosa (se piove). Oggi per fortuna piove poco.
Certo in questi casi meglio un’auto o un sidecar.


Sono in Russia, non più in Giappone, e, se per caso me lo dimenticassi, oltre alla qualità delle strade, me lo ricorderebbe il calore degli abitanti che, a differenza dei freddi (o solo timidi?) giapponesi, ad ogni sosta si avvicinano, chiedono informazioni (per nulla intimoriti dalle barriere linguistiche) e, inevitabilmente, chiedono una foto con la moto o con me.


Arrivo alla grande città di Habarovsk, che supero con una “strana” circonvallazione: allunga parecchio e non è certo un’autostrada, ma almeno evita il trafficato centro cittadino. Qui il fiume Ussuri si immette nell’Amur, che supero con un lungo ponte.


Temperatura sempre oltre i 30°.
Emozione nel leggere il cartello “Cità km 2.060”. Quale altro paese al mondo si può permettere cartelli con distanze simili?


Sono ormai sulla strada dell’Amur, la M58. So (in base all’esperienza dell’andata) che ora la strada migliorerà e potrò quindi tenere medie più elevate. Inoltre, avendo memorizzato all’andata tutti (almeno spero) gli alberghi, non avrò più il dubbio su dove sia il prossimo luogo per passare la notte: potrò quindi permettermi di guidare con più tranquillità all’approssimarsi del tramonto, prima del quale comunque dovrò sempre trovare un posto sicuro per la dormire.
Sono ormai le 18: ho sì 4 ore di luce prima del tramonto, ma fra un po’ arriverò ad un tratto di strada dove non mi risultano alberghi per 300 km. Ritengo quindi più prudente fermarmi nel prossimo, anche è ancora troppo presto. Ne vedo però un altro segnato da me sul gps (all’andata). L’ho però indicato come campeggio. Ricordo quel posto: uno strano cartello col simbolo internazionale del campeggio. Ora, che io sappia, non esistono campeggi in Russia, tranne pochissime eccezioni (ne ricordo uno a San Pietroburgo, dove ho sostato alcuni giorni anni fa). Quindi mi chiedo cosa mai indichi quel cartello, visto che all’andata non ho notato alcuna struttura di campeggio nei pressi.
Sono incerto; fermarmi all’albergo che vedo adesso, comodo, sicuro, ma sprecare mezz’ora di luce; oppure continuare, affrontare l’ignoto, rischiare di arrivare e non trovare nulla? Certo che, se non provo, non lo saprò mai. Decido di continuare.
Dopo un po’ arrivo al cartello del campeggio e in effetti… non vedo alcun campeggio. E’ una stazione di servizio.


Accanto al distributore c’è un “Cafè”, ma non vedo la classica scritta “gostiniza” (cioè albergo).
Entro e chiedo se è davvero un “camping”. Mi dicono di sì. Non capisco. “Ma dove si mette la tenda?” mimo indicando la tenda sulla mia moto. La ragazza non capisce; io ancora meno. “Camping, tent” ripeto. Alla fine la ragazza capisce e mi dice che non qui non si mette la tenda. In pratica è un albergo! Solo che, per qualche strano motivo, i russi lo chiamano campeggio e usano il relativo simbolo.
Costa ancora meno della pur economica “gostiniza” russa, ma in pratica è la stessa cosa. Bagno nel corridoio, ma confortevole. Ristorante al piano terra, dove consumo un’abbondante e saporita cena, per pochi rubli.
Ma ditemi voi come si fa a capire che è un albergo, senza nessun’altra indicazione!


Domani prevedo una tappa molto lunga.

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