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Sei in: MOTO - ITALIA GIAPPONE E RITORNO - DIARIO DI VIAGGIO - GIORNO 33

ITALIA - GIAPPONE E RITORNO
3.6/31.7.2011 - km 33.876

Andata
10 11 12 13 14 15 16 17 18  
Corea
19 21 22 23 24 25 26 27 28  
Giappone
29 30 31 32 33 34 35 36 37 38

(Altaj: 49/51)

 
Ritorno
39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59
Conclusioni
Ringraziamenti
Motoguida

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5.7.2011 - martedì - giorno 33
Honai(Shikoku) (7.40) [+7]
Kyoto (21.42) [+7]
km 465
viaggio h 14.02, guida h 5.55
Gps Garmin
GPX
Google Earth

Fotoalbum del giorno

La prima cosa da fare oggi è… asciugare i vestiti. Come immaginavo, infatti, non è bastato lasciarli appesi stanotte.
Ma il tempo mi aiuta: oggi c’è il sole! Lego quindi giubbotto e jeans sulla moto; tra sole e vento non dovrebbero tardare ad asciugarsi. Resto quindi senza giubbotto (i jeans ovviamente ce li ho di ricambio) ed è l’unica volta che guido durante il viaggio in maniche corte. Inizialmente mi sento “nudo”, ma è piacevole guidare, al sole e al caldo, in questo modo (ma è meglilo non farlo). Resto con i guanti traforati, che però ormai stanno cedendo, sia per la vecchiaia e l’uso che per la caduta in Siberia.
                                                                                  

La strada costeggia la costa nord dell’isola di Shikoku, ma spesso si interna, attraverso un paesaggio molto verde e non particolarmente urbanizzato, per gli standard giapponesi.


Arrivo all’estremità est dell’isola, da dove con un ponte arrivo nell’isola di Awaji.


Ma è la stessa Awaji ad essere in pratica un “ponte”, perché è il passaggio tra le due grandi isole di Shikoku e Honshu.
Infatti Awaji, lunga e stretta, è attraversata per tutta la sua lunghezza dalla strada che, alla sue estremità settentrionale, continua con una delle più ardite opere dell’uomo: il ponte Akashi-Kaikyo, il ponte sospeso più lungo del mondo.
E’ spettacolare! La campata principale è lunga m 1.991 (la lunghezza complessiva è m 3.911). Ancora più da ammirare pensando che questa è una zona altamente sismica. Durante il terribile terremoto di Kobe (che è proprio davanti a me, sull’altro lato del braccio di mare scavalcato dal ponte) del 1995, il ponte (allora in costruzione, ma era già complete le 2 torri da m 300) resistette, nonostante per la violenza del sisma una la torre sud si sia spostata di cm 120. La precisione dei giapponesi, durante la costruzione, è stata tale che la posa delle due torri sul fondo del mare è avvenuta con un margine d’errore di 2 cm.
                                                                                  

Nell’ampio piazzale dal quale ammiro il ponte, sono esposte tabelle descrittive della costruzione del ponte e le sezioni dei due cavi sospesi che lo reggono. Ognuno è composta di 290 trefoli di acciaio.
                                                                                  

Guardandolo, mi chiedo: riusciremo a farne noi uno di m 3.000 sullo stretto di Messina?

Ora basta guardare, è il momento di attraversarlo… magari sperando di non imbattermi in un terremoto proprio mentre ci sono sopra. Prima di ripartire, provo a studiare lo svincolo piuttosto “complesso” che troverò appena attraversato il ponte, per dirigermi verso Kyoto. Dopo pochi secondi di studio, ho già il mal di testa: ci rinuncio, sarà quel che sarà.


L’attraversamento è emozionante, anche solo per il pensiero di trovarmi su un ponte sospeso lungo 2 km, a m 65 sopra il livello del mare.


Arrivo nell’isola di Honshu, presso Kobe. L’area è molto urbanizzata, in pratica una grande conurbazione che comprende anche la vicina metropoli Osaka e si estende a nord est fino a Kyoto, la mia meta odierna.
E’ impressionante questa autostrada cittadina, stretta tra i grattacieli, dove ogni metro è rubato ai palazzi incombenti sulla strada.


Alcuni svincoli sono davvero complessi (e solo in giapponese) e rinunzio a comprenderli.


Riesco comunque ad arrivare a Kyoto; per fortuna ho il punto gps del concessionario Honda Dream, altrimenti forse starei ancora in giro a cercarlo per la città.
Parcheggio la moto nell’officina, mi presento e chiedo subito della sospirata gomma. C’è! L’hanno trovata: è una Dunlop, non una Bridgestone, ma va bene lo stesso (ho usato le Dunlop per i primi anni e poi l’ho abbandonata più per difficoltà di approvvigionamento che perché ritenga la Bridgestone migliore). Controllo la misura per sicurezza: va bene. Ci sono anche le pastiglie del freno anteriore.
I meccanici mi fanno presente che ci vogliono 4 ore di lavoro (si sono sentiti con i colleghi di Fukuoka); so che sono “lenti”, ma faccio presente che io sono a Kyoto, dopo 17.500 km di strada per arrivarci, e quindi prima desidero visitare la città, e la città la visito in moto. Sono da poco passate le 15; riporterò la moto qui entro le 17.30, in modo che loro possano completare entro stasera. Un po’ mi spiace comprimere la visita a Kyoto in questo modo, ma in viaggio è necessario compiere delle scelte; arrivare più tardi significherebbe non completare i lavori alla moto entro stasera e quindi continuare domattina; ma domattina i meccanici non riprenderebbero prima delle 10 (lavorano fino a tardi, ma non iniziano presto); questo significherebbe in pratica perdere tutta la mattinata e conseguentemente accelerare troppo il ritmo negli ultimi giorni i Giappone o, peggio, rischiare di perdere il traghetto settimanale.
E poi comunque 2 ore e mezzo mi basteranno, tanto i templi stanno per chiudere e non posso certo visitarli al buio (il sole tramonta alle 19.14).
Parto dal concessionario (i meccanici sono rimasti un po’ stupiti dalla mia tabella di marcia) e mi dirigo verso nord, dove sono presenti le due mete su cui mi concentrerò nelle prossime ore: il To-ji e il Daitoku-ji (il suffisso ji credo significhi tempio).
Kyoto ha una struttura abbastanza semplice, con lunghe strade rettilinee in direzione nord-sud ed est-ovest. Un paio di chilometri verso nord, una svolta a destra, una a sinistra e arrivo in vista del grande recinto del To-ji.


Il To-ji non è un singolo tempio, ma una grande area recintata all’interno della quale sono diversi edifici.
Fondato nel 794, consegnato nell'818 dall'imperatore alla scuola buddista Shingon, subì gravi distruzioni nel XV secolo (incendi e battaglie), la maggior parte degli edifici quindi risale al XVII secolo.
I due edifici principali sono il Kodo (Sala degli insegnamenti) e il Kondo (Sala Principale, che contine alcune statu del Budda guaritore).
Tra i vari edifici, bei giardini, curati con l’attenzione dei particolari tipica dei giapponesi. Un’oasi di pace in mezzo alla moderna metropoli. Gruppi di turisti tra gli edifici, comprese ordinatissime scolaresche in divisa. Vedo solo giapponesi.
                                                   

Kyoto è il cuore storico del Giappone, la sua antica capitale, con i suoi antichi templi carichi di storia; il To-ji è il cuore di Kyoto; ma il cuore del To-ji è quello che in questo momento ho davanti agli occhi, mentre il mio sguardo va su, sempre più su: la grande pagoda a 5 piani, alta 55 metri.
E’ la pagoda (nonché la costruzione interamente in legno) più alta del Giappone (quindi penso che abbia pochi rivali al mondo). Costruita nell'826, distrutta 5 volte da incendi, ricostruita l’ultima volta nel 1643.
E’ sorprendente che abbia resistito a tutti i terremoti di questa terra altamente sismica, grazie alla perizia costruttiva dei suoi edificatori e alla sua struttura elastica. Antesignana delle moderne costruzioni antisismiche (queste invece in cemento e acciaio) che nel moderno Giappone danno prova di arditezza ed efficienza.
Spettacolare! Oltre all’altezza (che è la prima cosa che si nota, fin da lontano), ammiro l’eleganza delle forme e la ricchezza dei particolari. Credo che possa essere considerato il simbolo del Giappone, almeno per quanto riguarda la sua storia umana, così come il monte Fuji (mia meta di domani) ne è il simbolo naturale.
                                                                       

Mi ributto nel traffico di Kyoto e, passando davanti ad altri templi (ognuno meritevole di una visita, ma li supero senza rimpianti, tanto sono “sazio” da quello che ho visto), vedo qualche metro innanzi a me una Gold Wing 1500! E la prima Gold Wing che vedo in Giappone; infilandomi tra le auto incolonnate (in Giappone è facile, perché anche le auto in fila nel traffico sono ordinatissime) riesco a raggiungerlo e lo saluto, ma lui accenna appena una risposta e tira dritto. Sono deluso: un motociclista risponde sempre al saluto di un altro motociclista e, quando questo viene da lontano (e chiunque in Giappone lo capisce subito che io vengo da molto lontano), si ferma a scambiare due parole o per una foto insieme. Pazienza, lo lascio andare dritto, mentre io mi dirigo verso il Daitoku-ji.


Eccomi di fronte al Daitoku-ji. Chiedo per un parcheggio; nel To-ji c’era un parcheggio interno, almeno per le moto), ma qui non lo vedo. Le persone all’ingresso mi fanno cenno di passare: strano, non vedo segnali per terra e mi sembra inconcepibile che, qui in Giappone, si possa parcheggiare in modo così “disordinato”. Quindi, con mia grande felicità (amo arrivare in moto nei luoghi), supero in moto il cancello di ingresso e la parcheggio subito oltre.


Anche il Daitoku-ji non è, come il To-ji, un singolo tempio, ma un insieme di edifici; ma è molto più vasto, essendo costituito da numerose costruzioni e templi, oltre che da vasti giardini.
Il tempio principale fu fondato nel 1319, poi disrutto dal solito incendio e ricostruito nel XVI secolo.
Purtroppo alcuni templi stanno già chiudendo, ma comunque non sono i singoli edifici a costituire l’attrattiva principale del Daitoku-ji, bensì l’intero complesso, armonico insieme di costruzioni, templi, giardini e tranquilli viali.
Passeggio tra i suoi sentieri, mi soffermo ad ammirare le facciate e i tetti riccamente intarsiati con diversi legni; mi sembra di respirare l’atmosfera dell’antico Giappone, mi sembra di sentire i secoli che sono passati di qui.
   

La visita è finita; riprendo la moto e saluto il Daitoku-ji.


Arrivo rapidamente (e puntualmente) al concessionario e gli affido la moto.


Procedono con la solita lentezza, ma senza intoppi, tranne quando si tratta di intervenire sul freno anteriore. Secondo loro la pinza destra sta per lasciarmi. Addebitano l’anomala usura delle pastiglie a questo problema; il meccanico mima il funzionamento della pinza (il suo inglese è molto scarso) e mi fa capire che è pericoloso continuare. Non sono convinto: ho fatto controllare la moto al mio meccanico in Italia e mi sembra strano che possa essergli sfuggito un simile problema, e altrettanto strano che si sia manifestato così improvvisamente. I ricambi per la pinza non ce li hanno e quindi gli ordino di cambiare le pastiglie e cercare di sistemare alla meno peggio la pinza che “dovrà” reggere fino a casa: in fondo sono solo km 16.500 (1.000 meno dell’andata): ce la farò.
I meccanici proseguono il loro lavoro, ma ad un certo punto il titolare mi passa una telefonata; un po’ meravigliato (chi mi può chiamare in Giappone?), rispondo: è un responsabile di Honda Japan (cui evidentemente il titolare, preoccupato, si era rivolto). Mi tiene al telefono per un quarto d’ora, cercando di dissuadermi dal continuare il viaggio in quelle condizioni, perché i freni posso cedere o bloccarsi da un momento all’altro, soprattutto alle alte velocità; a questo riguardo, mi consiglia, se proprio voglio continuare (cosa che infatti gli dico subito io ho intenzione di fare), di non prendere le autostrade (per la loro “alta” velocità di 80 km/h!), che potrebbero portarmi a frenate violente e quindi cedimento della pinza. Lo ringrazio della premura, ma gli rispondo, deciso, che io continuerò il viaggio come da programma e non rinuncio certo alle autostrade, anzi, le considero più sicure rispetto alle trafficatissime strade ordinarie giapponesi, perché almeno in autostrada posso tenere una velocità costante, con poche frenate. E comunque, stia tranquillo: io già freno poco, ora frenerò ancora meno.
Rivolto al titolare e ai meccanici, che avevano seguito preoccupati una parte della telefonata, sintetizzo in poche parole di un elementare inglese il mio programma (e il mio modo di viaggiare), in modo da rendere chiaro il loro compito: “Go, go: never stop! Go!” La moto non si deve fermare, mai! Il viaggio continua!
I meccanici completano il lavoro. La gomma posteriore in effetti non era messa molto bene ed è stata una fortuna essere riusciti a trovare il cambio. Diversi “strappi” appaiono su gran parte della sua superficie.


Pago; anche qui noto che i ricambi (gomma e pastiglie) costano il doppio che in Italia; il costo della manodopera invece è normale.
Foto di gruppo con i meccanici; stanchi (sono le 21.30), ma felici di essere riusciti a mettere la moto in condizioni di continuare.


Un meccanico mi accompagna (lui in scooter) ad un albergo, nel centro di Kyoto. Nonostante la posizione centrale e il fatto che sia moderno e di buon livello, costo normale (Y 7.000 = € 60).
Due passi nel centro (moderno) di Kyoto e cena in un bar-ristorante vicino.
Oggi ho fatto un po’ tardi, ma ho risolto un grosso problema; posso quindi continuare il viaggio tranquillo.

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